«La giustizia umana e la sua fallibilità – la giustizia mediatica» L’analisi di Fedeli sull’omicidio di Garlasco

Giuseppe Fedeli

di Giuseppe Fedeli *

La giustizia umana e la sua fallibilità- la giustizia mediatica 

Una giustizia – scrive Calamandrei in uno dei passaggi più intensi del suo Elogio  dei giudici – che «c’è; (che) bisogna che ci sia; (che) voglio che ci sia». E «voi giudici  dovete ascoltarmi». 

Quanto siamo disposti a sacrificare in nome di una buona storia? E quanto siamo davvero interessati alla giustizia, alla verità? Il delirio mediatico torna ad avvolgere Garlasco. Così esordisce il quotidiano on line “Il Dubbio”, che riporta le opinioni del legale del nuovo indagato, Angela Taccia, puntando il dito contro un sistema che cerca un colpevole a ogni costo. Come tutti avranno appreso, negli ultimi giorni gli inquirenti hanno riaperto il clamoroso caso di cronaca che finora ha visto l’ex fidanzato della ragazza, Alberto Stasi, unico condannato in via definitiva. Stasi è al momento in regime di semi-libertà e ha quasi finito di scontare la pena di 16 anni nel carcere di Bollate. Sempio, un amico del fratello della vittima (Marco Poggi), è stato collocato dagli inquirenti sulla scena dell’omicidio grazie alle più moderne tecniche di rilevazione del Dna, che lo hanno collegato al “reperto numero 33”, l’impronta di una mano raccolta diciotto anni fa dal Ris. Varie sono, però, le impronte ritrovate sul muro adiacente alle scale che portano nella cantina dove è stato trovato il corpo della vittima. Ci sarebbero anche tracce lasciate dal fratello e da un carabiniere. Numerosi errori -questa la “versione” che va per la maggiore, non solo fra gli inquirenti- sarebbero stati commessi dagli inquirenti nei primi rilievi sulla scena del crimine. Questa consapevolezza, insieme ai progressi tecnologici compiuti in 18 anni dal delitto, avrebbero probabilmente spinto la procura di Pavia a riaprire il caso per cui Stasi, oggi 41enne, si è sempre dichiarato innocente. 

Da giurisperito, mi accingo a fare delle considerazioni. Anzitutto, il concorso di persone nel reato non è configurabile, in quanto osta all’applicazione dell’articolo 110 del codice penale l’ipotesi di un nesso causale che non può riguardare due (o più) soggetti – autori, semmai lo siano, nel caso tornato alla ribalta, di azioni non in sincronia fra loro. Vi ostano, in particolare, i principi della più elementare logica, che si invera nella regola del B.A.R.D.- beyond any reasonable doubt-. Ora, se è vero che la giustizia è dell’uomo ergo fallibile, nondimeno a questa vanno applicate le categorie della logica e delle inferenze statistiche, a partire dal ragionamento abduttivo, il che porta a ritenere penalmente responsabile di un fatto chi possa essere dichiarato tale al di là di ogni ragionevole dubbio. Ordunque, ribadito che il concorso di persone nel reato è una fattispecie assai complessa, nel caso del delitto di Garlasco e in altri casi consimili il livello di lettura del fatto è diacronico: il contesto/teatro dell’evento parrebbe, cioè, non essere lo stesso in cui, in prima battuta, sono stati collocati i “protagonisti” della sciagurata vicenda (e, comunque, ai fini della sussunzione del fatto nel richiamato art. 110 cp andrebbe dimostrata la consapevolezza di ciascun partecipante del rischio condiviso): si è, infatti, riaperta l’indagine quando Stasi è ormai, se non agli sgoccioli, a buon punto nella espiazione della pena. Spuntano, grazie a nuove tecnologie, sospetti e indizi su altri soggetti, ma questa matematica imperfetta è, per ragioni analoghe a quelle su illustrate, d’ostacolo all’applicazione tout court delle regole del codice di rito penale, calate nella fattispecie concreta.  

Il procedimento logico consta di: abduzione (affermazione di ipotesi)- corroboration (riscontro all’ipotesi)- cumulative redundance (esclusione di ipotesi alternative)- deduzione di ritorno. Il cimento del Giudice (decidere deriva da de caedere, scegliere tra i due corni del dilemma) è arduo, lo diceva con parole appassionate il grande Pietro Calamandrei, che quella del jus dicere è uno dei mestieri più delicati, perché, in ambito penalistico, sul piatto della bilancia c’è la vita, il destino di un uomo. Affidiamoci dunque alle regole della saggezza umana e alla misura della logica, fin quando si può, senza tentazioni di flessioni emotive, vale a dire senza slittare nei territori del “sentimentalismo”: per cui, se non si hanno elementi sufficienti, e comunque se il ragionamento indiziario è deficitario, il caso si deve chiudere con la formula del “non luogo a procedere”, ovvero della “assoluzione” -a seconda dello stadio in cui si trova il processo-; né si deve infierire su soggetti, verso cui si nutrono soltanto sospetti. Senza grancasse né commenti a margine di opinionisti, #italieindiretta e rampanti criminologhe, che alla propria immagine sacrificano, spesso e volentieri, il corso delle indagini.  

“Diverso” è per la Giustizia divina, che si muove su Piani Alti e Altri. 

* giudice


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